storia di una gabbianellaUn gruppo di scrittori veneziani, “Piccoli Maestri“, ha deciso di sostenere le librerie della città cercando di stimolare l’amore per la lettura nei ragazzi. Troppi interessi insieme riuniti – la salvaguardia della mia città, la scuola e il contatto con i ragazzi, il mio stesso amore per la lettura – mi spingevano a far parte del gruppo, anche se ho sempre troppo da fare. Ho deciso così di offrire qualche ora a tre scuole della città, ma, per unificare le cose che mi coinvolgono e non mettermi ad analizzare altri libri, ho proposto al gruppo di leggere la “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” di Luis Sepulveda, lo stesso libro che, 15 anni fa, mi suggerì il nome dell’associazione che ho fondato… Naturalmente l’approccio al lavoro scolastico non poteva che essere ispirato dai principi dello Yoga a scuola, in primis quello di stare in classe con l’intera persona: corpo-respiro, mente- emozioni.

Carla Forcolin

Suscitare l’amore per la lettura nei bambini

L’incanto si è ricreato. Come mi era successo nella scuola elementare Visintini di Marghera, anche oggi, nella scuola F. Baracca, ho coinvolto nella lettura del famoso libro di L. Sepulveda “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” una seconda elementare per più di un’ora. Un tempo lunghissimo per dei bambini di 7-8 anni.

Per catturare l’attenzione dei bambini, li ho dapprima coinvolti nel gioco di sedersi ed alzarsi dal banco senza fare il più piccolo rumore. Ho chiesto loro di trovare un posto in piedi, sistemandosi a scacchiera, dove poter aprire le braccia-ali come un gabbiano e mi sono fatta accompagnare dai loro gesti nella lettura. Ho chiesto loro se sapevano che cos’erano le aringhe, gli stormi, le vedette, parole importanti per capire il testo e ho annunciato che avrei letto loro alcune parti del libro che portavo con me, che altre le avrei lette già riassunte da me in precedenza e che altre ancora le avrei semplicemente raccontate.

Presi questi accordi, ho cominciato a leggere la storia di Kengha, la gabbiana argentata che, moribonda a causa del petrolio in cui ha finito per imbattersi, mentre si nutriva di gustose aringhe, finisce per planare sul terrazzino di una casa di Amburgo, dove prende il sole il gatto Zorba.

I bambini diventano gabbiani, piegandosi a 90° e aprono le braccia-ali, imitandone il volo. Poco dopo, nell’espiro, si abbassano ulteriormente e toccano con gli indici per terra (“come frecce piombarono in mare…” ) imitando i gabbiani che escono dall’acqua con le aringhe nel becco.

Mentre leggo la drammatica vicenda di Kengha che rimane invischiata nel petrolio e che viene abbandonata dallo stormo, i bambini muovono le braccia pesantemente e, quando Kengha si ritrova con la vista annebbiata, si siedono sul banco e fanno “palming”, visualizzando il nero che ricopre gli occhi della gabbiana.

Ora giunge in campo il gatto Zorba e io racconto, senza leggerla, la sua storia. Questi è un personaggio forte, generoso e compassionevole, salvato da un vorace pellicano e adottato da un bambino quando era così piccolo da apparire solo un batuffolino di pelo nero.

Chiedo quindi ai bambini di alzarsi di nuovo in piedi e di appoggiare le mani sul banco, spostandosi un po’ dallo stesso, in modo da poter inarcare la schiena come fanno i gatti quando si stiracchiano e di miagolare mentre fanno uscire l’aria dai polmoni. I bambini eseguono divertiti.

Zorba capisce che l’infelice gabbiana è sull’orlo della morte e le promette tutto ciò che lei desidera:

– non mangiare l’uovo che lei deporrà con le ultime forze che le rimangono;

– crescere il pulcino che dall’uovo nascerà;

– insegnargli a volare.

Mentre leggo delle promesse, un bambino biondo infastidisce il suo compagno di banco, allora gli chiedo: “Mi prometti di non disturbare la lettura?”. Mi risponde affermativamente, ma pochi secondi dopo ricomincia. Intanto si arriva alla seconda promessa e io allora, sottolineando come le promesse siano importanti, gli chiedo di trovare una strategia per mantenere la difficile promessa di non disturbare e gli propongo di allontanarsi dal compagno e di avvicinarsi a me, sedendo su di un banco vuoto. Accetta e da quel momento segue con totale interesse il racconto.

Zorba è andato a cercare rinforzi e suggerimenti circa il modo di ripulire Kengha dagli altri gatti che gli sono amici, ma al suo ritorno la trova morta e vede accanto a lei un ovetto azzurro. Non sa come comportarsi, ma il suo amico Diderot, gli suggerisce “Calore, calore corporeo!”

Tutti i bambini ripetono: “Calore, calore corporeo”. Se fossimo in palestra potremmo fare l’uovo, rannicchiandoci, ma qui in classe dobbiamo usare molti metodi per coinvolgere il corpo, tra questi la voce.

Zorba tiene l’uovo tra le zampe, lo protegge da diverse insidie, non si allontana mai da lui, facendosi venire i crampi per l’immobilità e deve superare momenti di dubbio circa ciò che sta facendo e di vero sconforto. I suoi amici non riescono a scoprire con certezza la durata esatta dell’incubazione: sull’enciclopedia del gatto Diderot c’è scritto che può durare dai 17 a i 30 giorni … ma ecco che,alla sera del 21° giorno, Zorba viene svegliato da un “solletichio alla pancia” e… “non poté evitare un sussulto quando si accorse che da una crepa del guscio del suo uovo appariva e scompariva una puntina gialla”.

Naturalmente si tratta del becco del pulcino, che non appena è uscito dall’uovo, pronuncia il fatidico nome: “Mamma!” e subito dopo “Mamma, ho fame!”.

Tutti i bambini ripetono in coro: “Mamma, ho fame! Mamma ho fame!”

Zorba deve affrontare così la seconda promessa: far vivere e crescere il pulcino, che lui non sa che cosa mangi. Dopo aver provato ad offrirgli una mela e i suoi croccantini di gatto, si ricorda che il pulcino è un uccello e che gli uccelli mangiano gli insetti, così si mette a catturare le mosche e finalmente il pulcino è soddisfatto e riesce a mangiare.

Tutti i bambini imitano il ronzio della mosca (Brahamari)

Quando gli amici di Zorba arrivano e trovano il pulcino addormentato accanto a lui, si congratulano con il gattone nero e si inteneriscono, sentendo che viene chiamato “Mamma”. Partecipano tutti insieme alla nutrizione del piccolo, procurandogli dei pesciolini da mangiare.

Non sarà facile per Zorba proteggere l’uccellino sia da gatti malintenzionati, sia da topi di fogna, sia dagli umani, che potrebbero finire per metterlo in gabbia. Ma egli, con l’aiuto del suo gruppo di amici, riuscirà anche in questa parte della sua impresa.

I gatti faticano a capire il sesso del pulcino, ma quando è chiaro che è una femmina, decidono di battezzarla con il nome di “Fortunata”.

I bambini ripetono “Per Fortunata, amica dei gatti: Urrà! Urrà! Urrà!”

Fortunata crebbe in fretta e presto si pose il grandissimo problema di mantenere la terza promessa fatta alla sua mamma: insegnarle a:

volare (dicono i bambini in coro) .

Ma per fare qualcosa, facile o difficile che sia, bisogna volerlo fare. E Fortunata teneva le ali ben strette al corpo, non voleva essere un gabbiano… ma un gatto e, diceva, “i gatti non volano”.

Finché non successe una cosa molto triste: la scimmia Mattia le disse che lei era una gabbiana, che i gatti volevano far crescere solo per mangiarsela, quando fosse diventata grassa. Fortunata, piangendo, raccontò l’accaduto a Zorba e allora questi le miagolò un discorso.

I bambini “miagolano”, poi il discorso viene letto (quasi) per intero. Perché i bambini non si distraggano, visto che il discorso per una seconda elementare è davvero difficile, ogni qual volta si ripete la parola “gabbiana”, “gatto”, “uovo” la faccio indovinare ai bambini.

Ecco il discorso di Zorba: “Sei una gabbiana. Ti vogliamo tutti bene proprio per¬ questo. Ci fa piacere, ci lusinga, che tu voglia essere come noi, ma sei di¬versa e ci piace che tu sia diversa. Non abbia¬mo potuto aiutare tua madre, ma te sì. Ti ab¬biamo protetta fin da quando sei uscita dal¬l’uovo. Ti abbiamo dato tutto il nostro affetto senza alcuna intenzione di fare di te un gatto. Ti vogliamo gabbiana. Sentiamo che anche tu ci vuoi bene, che siamo i tuoi amici, la tua fa¬miglia. E’ bene tu sappia che con te abbiamo imparato qualcosa che ci riempie di orgoglio: abbiamo imparato ad apprezzare e ad amare un essere diverso da noi, ma tu devi seguire il tuo destino di gabbiana. Devi vola¬re”.

Ma Fortunata ha paura di volare, non è pronta.

Talora anche la buona volontà non basta e Fortunata prova ad aprire le ali e a sollevarsi da terra, ma non ci riesce e cade, sempre più mortificata e avvilita, sentendosi una “buona a nulla”.

I bambini imitano i tentativi di volare aprendo le ali, saltando in aria, ricadendo a terra, dopo il saltino. Poi tornano a sedersi senza fare rumore.

I gatti, riconoscono che non sono in grado di insegnarle a volare e Zorba decide di chiedere aiuto ad un uomo. Questi non possiede ali, ma sa volare con le parole: è un poeta! Per farsi capire da lui, Zorba deve infrangere un tabù: deve miagolare nella lingua degli uomini. Il suo gruppo, per una volta, lo autorizza a far capire ad un umano che i gatti sanno la sua lingua e il gattone nero riesce a spiegare al poeta il suo problema.

Al poeta viene in mente una poesia, intitolata “I gabbiani”, dove si dice che i gabbiani, con il loro piccolo cuore da equilibristi, amano più di ogni altra cosa la pioggia e il vento. Poiché il cielo di Amburgo è nuvoloso, nella notte pioverà, dice il poeta. Fortunata, portata in cima alla torre di S. Michele, il campanile di Amburgo, farà l’equilibrista e poi, incoraggiata dalla pioggia e sostenuta dal vento, volerà.

I bambini picchiettano gli indici sul banco per fare la pioggia e sibilano come il vento, mentre tengono gli occhi chiusi.

Zorba e Fortunata vengono portati dal poeta in cima alla torre, da dove le macchine della città sembrano piccoli insetti dagli occhi brillanti. Fortunata vuole tanto volare, ma ha paura.

I bambini chiudono gli occhi e si fanno venire in mente la sensazione della paura.

Zorba non getta dalla torre Fortunata, ma la esorta e respirare l’aria umida, a sentire la pioggia, che tanto le piace, sulle piume. E lei dispiega le ali, solleva la testa, si sente felice, sente che è il suo momento. Già con mezze zampe fuori dalla balaustra, gli grida tutto il suo amore e … vola.

Zorba si assicura che non cada, che impari a farsi portare dal vento e commenta: “Vola solo chi osa farlo”.

Poi gocce di pioggia o lacrime di commozione annebbiano i suoi occhi gialli di gatto nero.

I bambini sono commossi.

Chiedo loro di appoggiare la testa sul banco e di rivedere i grandi temi della storia, che io stessa riassumo: la vicenda di Kengha, uccisa dal petrolio; le tre promesse; le difficoltà nel mantenere ciascuna di esse; l’ostacolo della paura; il miracolo della fiducia e del seguire il proprio istinto.

Poi chiedo ai bambini se qualche volta si sono dimenticati di rispettare una promessa. Onestamente qualcuno dice che talora se n’è dimenticato. Decidiamo che è importante mantenere le promesse e così mi ricordo del biondino che ne ha appena mantenuta una e lo porto ad esempio.

Sono certa che i bambini vorranno rileggere la storia, come fanno da sempre i bambini piccoli con le fiabe che piacciono loro di più e che si fanno raccontare mille volte dagli adulti.

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