carlaSi è concluso poco fa il convegno “Bambini come gli altri”, tenutosi a Palazzo Cavagnis, prima sede dell’associazione “La gabbianella” , che riguardava i figli dei detenuti: i bambini che crescono con le madri negli istituti a custodia attenuata, come quello che esiste alla Giudecca, i figli dei detenuti tutti (56.800 circa), i figli di coloro che sono affidati agli uffici di esecuzione penale esterna (51.000 circa).

Obiettivo primo del convegno, organizzato dall’associazione “La gabbianella” assieme all’assessorato “Coesione sociale e sviluppo economico” del Comune di Venezia, all’interno della rassegna “Dritti sui diritti”, era riportare l’attenzione di alcune istituzioni (della Garante Regionale, delle Direttrici delle due carceri di Venezia, maschile e femminile e dell’Ufficio esecuzione penale esterna) sulla necessità di applicare il “Protocollo d’intesa” della Regione Veneto. Applicare un documento, pensato e scritto sia dalle istituzioni citate che dalla Questura, e siglato presso il Tribunale per i Minorenni, che stabilisce con minuziosità “chi deve fare cosa” quando una madre con figlio al seguito viene incarcerata. Perché la madre non possa nuocere a nessuno e il bambino sia ad un tempo protetto e non privato né del rapporto con la mamma né della sua libertà di bambino.

Al convegno era presente anche la responsabile dell’area educativa dell’ICAM di Milano, la quale ha raccontato come la struttura lombarda, la prima in Italia, posta all’esterno del carcere, a sei Km dallo stesso, sia sotto sfratto, ma sia servita da ben cinque educatori pagati dal Comune. A Venezia la struttura è accanto al carcere femminile, è nuova e bella, ma soffre invece per la mancanza di personale. I bambini che la abitano vi escono solo grazie all’impegno dell’associazione “La gabbianella” che riesce in questo scopo grazie al volontariato e agli stagisti delle vicine Università, ma che, da sette anni, non ha alcun aiuto regolare e sostanziale da parte del Comune, come invece avveniva un tempo, tramite la Municipalità di Venezia.

Se l’obiettivo del Ministero di Giustizia, in attuazione dei dettati costituzionali, è rieducare i detenuti, a maggior ragione dovrebbe educare i bambini che finiscono in carcere o ICAM con la madre. Dovrebbe assicurare loro l’asilo nido e la scuola materna, se non altro per rendere la loro vita più simile a quella degli altri bambini che non a quella dei detenuti veri. Eppure perfino questa frequenza non è garantita, perché se non c’è chi accompagna i bambini (finora, a Venezia, noi della Gabbianella ce l’abbiamo fatta, ma il futuro non è garantito) a scuola non si va. I bambini di Rebibbia per due anni non sono andati alla scuola materna e all’asilo nido perché era stato tolto il pulmino che svolgeva servizio di accompagnamento e in altre città non si frequenta l’asilo esterno. Quando ciò avviene, si toglie l’unico mezzo attraverso cui i figli delle detenute possono cominciare fin da piccoli ad inserirsi nel mondo dei coetanei nella normalità.

Fitta e sentita la discussione al convegno, al punto che lo stesso si è concluso un’ora dopo il previsto. Purtroppo però, non si è riusciti a sfiorare un punto dolente: che fare quando finiscono in strutture a custodia attenuata bambini con disabilità? Piccoli che sarebbero un grave problema per la famiglia anche in condizioni di normalità? Purtroppo succede spesso. Ci sono situazioni in cui i bambini dovrebbero essere particolarmente protetti e per essi, più ancora che per gli altri, ci dovrebbero esserci forme di “affidamento diurno”.

Come ha spiegato la dott. Paola Sartori del Comune di Venezia, è questa la formula che indica una semplice strada: di giorno il bambino va a scuola e viene accompagnato a fare le cure del caso, di pomeriggio-sera egli torna regolarmente dalla mamma. Verrebbe così coniugato il diritto a mantenere il legame con la mamma ed insieme il diritto a crescere in un ambiente attento ai suoi bisogni. Tra l’altro, attraverso l’affidamento diurno, in molti casi sarebbe più facile dare il permesso di soggiorno al bambino e così anche le cure mediche a lui necessarie. Un domani, all’uscita della madre dal carcere, la stessa potrebbe più facilmente chiedere un permesso di soggiorno provvisorio e, lavorando onestamente, finire per averlo definitivo.

Sono purtroppo finiti in secondo piano i problemi relativi ai figli dei detenuti maschi, per i quali la stessa “Gabbianella” sta lavorando ad un progetto, finanziato dalla Regione Veneto, che ha lo scopo di rendere l’ex chiostro di S. Maria Maggiore un’aria aperta agli incontri tra detenuti e famiglie; i problemi di quei padri e madri che hanno i figli lontanissimi e non li vedono da anni, che potrebbero vederli solo via Skipe; i problemi di quei bambini i cui genitori scontano la pena agli arresti domiciliari.

Per il Sottosegretario del Ministero di Giustizia, è intervenuta la dott. Donatella Donati, magistrato minorile, che ha ricordato che al Ministero sono in atto proprio ora importanti riforme. La cura della genitorialità e l’accompagnamento della stessa devono essere previsti nel trattamento per il detenuto/a e in ogni circostanza si deve tenere presente che il bambino ha il diritto prevalente a crescere in una famiglia, possibilmente la propria, e ha diritto a non essere privato dei genitori.

Concordi i relatori, ma anche la Questura, rappresentata dal dott. Sommariva ed il responsabile del Servizio Sanitario del Carcere Femminile, dott. De Nardo, nel decidere che tutti saranno presenti al prossimo incontro, indetto della Garante alla Persona, dott. Mirella Gallinaro, per istituire un gruppo di monitoraggio degli accordi.

Carla Forcolin

 

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