“Sul mensile “Noi”, allegato ad “Avvenire” di domenica 28/2, è comparso un articolo di Carla Forcolin che commenta il convegno on line organizzato dal Garante della Regione Emilia Romagna circa la costruzione di case-famiglia protette per le donne incarcerate con i loro bimbi al di sotto dei sei anni. Nella stessa pagina compare una recensione del libro “Uscire dal carcere a sei anni. I figli delle detenute tra diritti che confliggono: stare con la madre o essere liberi”. a cura di Luciano Moia. Riportiamo entrambi ..

Proposte per i bambini che crescono in carcere con le madri: famiglie e case


Vorrei dare un contributo anch’io, a partire dall’esperienza dell’associazione “La gabbianella e altri animali”, che ha accompagnato i bambini accolti nel carcere femminile di Venezia – Giudecca  all’asilo nido e alla scuola materna comunale per 16 anni, alla ricca discussione del convegno del 13 gennaio, organizzato dal Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale dell’Emilia-Romagna.

I dati –  Come sempre, per cominciare, bisogna considerare i dati della realtà in oggetto. Al 31 dicembre 2020 le donne detenute con figli in carcere erano 33: 20 nelle sezioni nido, le altre negli Icam (Istituti a custodia attenuata per madri).

Questa è la prima cosa su cui riflettere: pur  potendo le detenute essere collocate nei 4 Icam funzionanti e/o nelle due case famiglia esistenti, 20 di esse, su 33, erano nelle sezioni nido delle carceri normali. Come mai? Forse perché sia gli Icam che le case famiglia sono accessibili solo a chi ha forme di custodia attenuata? I magistrati non hanno loro permesso di accedervi? Oppure, le detenute dovevano scontare pene brevi e preferivano restare vicino alle famiglie? Si dice sempre che le madri non vanno in casa famiglia perché le strutture mancano, ma se 20 madri  su 33 sono nei nidi e gli Icam, che dei nidi sono comunque migliori, sono sottoutilizzati, qualcosa non torna. E se anche le case famiglia esistenti sono raramente utilizzate al massimo della capienza, non è la loro carenza il vero problema.

Prima dello svuotamento prodotto dalla pandemia, negli istituti penitenziari italiani le mamme erano oltre 60, con altrettanti bambini sotto i 3 anni. E’ altamente probabile che tutte le detenute che avevano la possibilità di uscire dal carcere siano state fatte andare agli arresti domiciliari e siano rimaste “dentro” le donne che avevano pene severe da scontare per reati gravi. Ma questo ci fa pensare che una ventina di detenute almeno, anche se le case famiglia fossero state di più, non avrebbe potuto accedervi e che il problema della presenza di alcuni bambini nel carcere sarebbe rimasto. Ci fa anche vedere, per altro, come già allo stato attuale delle cose, molto spesso, ci siano donne in carcere che potrebbero scontare la loro pena agli arresti domiciliari, senza privare della loro presenza figli piccoli e grandicelli. Si potrebbero attuare sistematicamente dei sistemi di pene alternative alle attuali, con le norme già esistenti. E farlo, come dice il Garante dell’Emilia Romagna dott. Marighelli, è un “obbligo etico”.

Le case famiglia protette – Leggo da “Ristretti Orizzonti” che “l’obiettivo comune è uno solo: far comprendere la necessità di superare con urgenza le sezioni nido e gli Icam per lavorare, congiuntamente e convintamente, per la diffusione delle case famiglia protette su tutto il territorio nazionale come unica possibilità di accoglienza per le madri detenute con figli.

Inevitabile che ci si chieda come saranno concepite le case-famiglia protette nella prospettiva di essere l’unica possibilità di accoglienza per le madri detenute; ad esempio, per coloro che hanno “solo” commesso una serie di furti e per coloro che hanno costituito un’associazione a delinquere volta allo sfruttamento della prostituzione minorile. Se le case famiglia sono per tutte, o tutte avranno una sorta di impunità (e questo non è giusto) o le case-famiglia diverranno in tutto o in parte una sorta di carcere di nuovo. Purtroppo, la diversa attenuazione della pena, vista caso per caso dal magistrato, ci dev’essere.

Forse le case–famiglia future potranno essere costruite con una sezione chiusa e una aperta, ma qui rinascono problemi simili a quelli già visti. In alcuni lander tedeschi è già così: vogliamo seguire quell’esempio? In Germania ogni detenuta e ogni bambino hanno un educatore per sé e le madri sono obbligate a svolgere un programma di studio, di lavoro, di crescita personale. I bambini frequentano gli asili pubblici fin da piccolissimi e successivamente il loro educatore fa loro seguire anche attività extra-scolastiche, come avviene per i bambini che vivono in famiglia. Il tutto con regolarità, perché lo stato ne paga le spese. In Italia finora non abbiamo avuto nemmeno garantita la frequenza scolastica dei bambini alla scuola materna, con l’esclusione di Milano, dove gli educatori sono pagati dal Comune, e abbiamo problemi per il pagamento delle rette nelle case-famiglia esistenti.

Ora sono stati stanziati, il 19 dicembre 2020, con la Legge di Bilancio, 1,5 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio 2021-2023, per finanziare la predisposizione di case-famiglia protette. Lo stanziamento fatto è prezioso e non dev’essere sperperato. Ma dopo?

Soluzioni a lungo termine –    E’ sensato trovare soluzioni gestibili a lungo termine, nelle quali lo stato e gli Enti Locali abbiano compiti ben definiti da rispettare. Come il Ministero di Giustizia paga normalmente la retta della detenuta in carcere, così potrebbe pagarne la retta in casa-famiglia e come il Comune si fa carico del bambino “fragile” in circostanze normali, potrebbe farsene carico anche se egli vivesse con la madre detenuta. 

Dove c’è bisogno davvero delle famose case-famiglia protette e dove ce ne sono di adeguate e preesistenti? Nel Veneto spesso madri detenute con i loro bambini sono state inserite in case-famiglia normali, non avendo una dimora dove scontare gli arresti domiciliari. Con una trentina di madri detenute e venti regioni rischiamo di fare comunità in cui si soffre per l’isolamento, cosa che già avviene in molti Icam e Nidi. Meglio un ambiente di detenzione meno nuovo e più popolato, dove si trovino amici, che uno bello e vuoto. Non dovremmo fermarci alle apparenze, nel valutare la qualità di vita dei bambini…

Affidamento diurno – Ognuno guarda alle cose dal proprio punto di vista e chi gestisce già case-famiglia o è pronto a gestirne le vede come l’unica soluzione possibile, mentre chi non ama le lunghe istituzionalizzazioni (si potrebbe stare in queste strutture fino ai 10 anni di età dei bambini) pensa all’affidamento. E per non separare dolorosamente madri e figli, propone l’affidamento solo diurno. Di giorno i bambini starebbero fuori, andando ai nidi e alla scuola dell’Infanzia con i loro affidatari, uscendo anche nei festivi e nelle vacanze, di sera starebbero con la mamma.

I costi di questo programma sono di certo bassi, anche se gli affidamenti vanno preparati e gestiti con cura e implicano comunque delle spese. Le case, per le detenute e i detenuti, ci vogliono ed è bello pensare che, con il lavoro degli stessi, si potrebbero recuperare case da restaurarsi dal partimonio immobiliare pubblico. Spesso i detenuti rimangono in carcere perché non hanno un’abitazione in cui andare.

A metà febbraio si dovrebbe capire come i fondi stanziati saranno suddivisi tra regioni. Auspico che ci si occupi del problema con realismo, cercando di capire di cosa c’è davvero bisogno per il reinserimento di madri e figli con un’attenzione specifica ad essi, caso per caso, ed insieme una visione generale. Il faro a cui rivolgersi non può essere che il supremo interesse del minore, come per tutta la giurisprudenza minorile, tenendo conto che ogni bambino non può essere considerato separatamente dalla sua intera famiglia.

Carla Forcolin

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