L’ultimo articolo scritto dalla nostra Presidente Carla Forcolin13/05/2021

Martedì 4/5, mentre in Commissione Giustizia della Camera si discuteva di riforma della L. 62/11, il Tavolo per l’Affido discuteva assieme alla Garante nazionale dei diritti dei bambini, alla Ministra Bonetti e ad altre personalità importanti di affidamento. Non di sottrazioni indebite di bambini messe in atto violentemente, ma di separazioni temporanee, finalizzate a dare ad un bambino che non può stare nella sua famiglia una famiglia sostitutiva dove crescere bene. Insomma di affidamenti concepiti per il bene del minore.
Uno degli ambiti in cui l’istituto dell’affidamento potrebbe essere utilizzato con grande vantaggio dei bambini è quello carcerario. Non sto scherzando, ma quando una madre detenuta ha davanti a sé un periodo lungo di pena da scontare e i Magistrati di Sorveglianza non ritengono opportuno farla uscire per andare in casa-famiglia o agli arresti domiciliari, quale dev’essere la vita dei figli? Stare dentro il carcere, magari in un Istituto a custodia attenuata fino a 10 anni, vivendo in simbiosi con la madre, senza acquisire mai una vera autonomia, uscendovi solo se qualche volontario viene a prenderli per una passeggiata, perdendo tutte le opportunità di sviluppo intellettivo, sociale, culturale, che la vita potrebbe dare loro?
Fino ad oggi non è scritto da nessuna parte che i bambini che vanno in carcere hanno diritto a frequentare la scuola materna e quindi ad esservi accompagnati. La scuola materna non é ancora dell’obbligo. Ma anche se la stessa fosse garantita, i figli delle detenute non hanno diritto a divertirsi nei giorni di festa e di vacanza come tutti gli altri bambini e, così facendo, ad imparare a conoscere il mondo esterno? I bambini potrebbero avvalersi di forme di affidamento per imparare mille cose e per stare con i coetanei, senza per questo essere separati dalla madre. Non penso solo all’affidamento a tre anni, com’era un tempo e dovrebbe essere ancora oggi, perché più si cresce più la vita in carcere diventa dura per i bambini; penso soprattutto all’affidamento diurno, che potrebbe anche, se fosse attuato, rendere inutile quello a tempo pieno, dopo i tre anni. Uscire per andare a scuola e poi con il proprio affidatario/educatore/persona solidale (come vogliamo chiamarlo/a?), andare al parco o ad imparare qualcosa di bello e divertente. Oppure semplicemente andare a casa della”persona solidale” con il compagno di scuola preferito e giocare lì insieme, per poi tornare verso sera dalla mamma e raccontarle la propria giornata. La mamma nel frattempo avrà a sua volta studiato e lavorato nella prospettiva di imparare bene un lavoro. Il carcere ha l’obiettivo della rieducazione, non dimentichiamolo.
La mamma come potrebbe rapportarsi a chi porta fuori suo figlio? Intanto lo dovrebbe conoscere prima, assieme ad altre persone entrate nell’Istituto a giocare con i bambini, poi dovrebbe poter dare il suo parere sulla persona prescelta. Infine questa persona dovrebbe essere un educatore-amico/a anche per lei, non un affidatario che le ruba il figlio. La cosa è possibile, se viene fatta coinvolgendo la madre e non escludendola. Niente fa meglio ad un bambino di un rapporto individualizzato con una persona cara, che gli permette di fare tante esperienze ed imparare mille piccole e grandi cose, che lui, a sua volta, può cercare di trasmettere alla mamma.
Un sogno? Esiste la gelosia, la voglia di crescere secondo la propria visione del mondo i figli, di insegnare loro magari ad avere “la mano lesta”, invece che a scrivere o a conoscere le fiabe … ma esiste anche il piacere, l’orgoglio materno, di vedere che il proprio figlio/a ha già imparato a parlare con ricchezza di vocaboli, che sa andare in bicicletta o nuotare, come la mamma non ha mai potuto imparare a fare, che la scuola gliene parla bene. Su questo si deve puntare e, lavorando sulla formazione culturale del bambino, si lavorerà anche sul recupero di sua madre.
E poi madri e figli, se non hanno nessuno fuori ad aspettarli, quando usciranno, avranno così già degli amici nella “persona solidale” e nella sua famiglia, nei compagni di scuola e nelle loro famiglie e non è cosa da poco.

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