Dopo che Clara, la segretaria che aveva collaborato a lungo con me e con cui lavoravo in grande sintonia, aveva lasciato il suo posto, spinta anche dal Covid, avevo trovato aiuto in un’altra ragazza, ma lei, pur brava, aveva progetti lavorativi più ampi e nessuna intenzione di fermarsi a lungo con noi. Quando cominciai il progetto “Cura della prima infanzia in tempo di Covid”, assunsi una seconda segretaria, ma anche le segretarie hanno bisogno di un rodaggio prima di prendere in mano pienamente le loro attività. E il mio carico di lavoro era di nuovo aumentato, mentre gli anni cominciavano a farsi sentire. Ero stanca da tempo di dovermi occupare della Gabbianella sostanzialmente da sola, con la segreteria che doveva essere comunque sempre sotto la mia direzione, perché di certo le due brave segretarie non si coordinavano tra loro. Ero stanca di dipendere dal personale esecutivo per poter lavorare, in quanto non possedevo le tecnologie necessarie per farlo, o da soci giovani che erano bravissimi nell’uso del computer ma dovevano lavorare ed avevano una vita piena di impegni di altro genere. Superati i 72 anni, dopo 22 in cui lavoravo dalla mattina alla sera ogni giorno per l’Associazione (a parte una breve parentesi di pochi mesi in cui sembrava che avessi trovato una sostituta) decisi che dovevo cambiare vita.

Chiesi ad Anna Sacerdoti, pediatra e psicoterapeuta, se volesse sostituirmi e lei rispose affermativamente. Avevo la ferma intenzione di metterla nelle condizioni di poter lavorare, con un vero passaggio di consegne prolungato, ben sapendo quanto lavoro ci fosse da compiere e quante cose fosse necessario sapere per gestire adeguatamente “La gabbianella”. Cominciai cercando una nuova segretaria che venisse tutti i giorni feriali, poi concepii un nuovo progetto, per 40.000€, che, se fosse passato, avrebbe dato le linee da seguire alla presidente e alla segretaria, che nel frattempo preparava il progetto con me. Poi ci fu l’assemblea dei soci dove diedi le dimissioni. Dopo sarei partita per una lunga vacanza.

Ma nulla andò come avevo sperato e programmato, perché il progetto “Studiare da piccoli, lavorare da grandi”, pur ammesso tra i finanziabili, non fu finanziato: altre associazioni, più grandi, avevano fatto il progetto e avuto un punteggio superiore. A questo punto bisognava rimboccarsi le maniche e lavorare in altre direzioni, ma non mi fu permesso di accompagnare la nuova Presidente, perché la Segretaria aveva dato le dimissioni in seguito alle difficoltà incontrate dal progetto, e la Presidente cercava di fargliele ritirare grazie al rapporto di fiducia che si era creato tra di loro, mentre ero in vacanza, e che io avrei turbato. Prima che io partissi la Segretaria mi aveva detto che voleva dare le dimissioni e cercai di fargliele ritirare, ma lei sembrava decisa. Rendendomi conto delle difficoltà che avrebbe incontrato la nuova presidente, senza segreteria e senza progetto da attuare, con me lontana proprio ai suoi esordi, le mandai i nominativi di altri possibili segretari, con poche note per ciascuno di questi. Volevo aiutarla come potevo. Al mio ritorno mi precipitai in sede e subito scoprii che nel frattempo la Segretaria aveva forse cambiato idea, su richiesta della nuova presidente.

La mia mail in cui indicavo possibili collaboratori nel settore esecutivo aveva anzi disturbato il lavoro di ricucitura che Anna stava facendo e la stessa mi rimproverò aspramente per avergliela spedita. Fui allontanata e mi allontanai dalla presidenza, senza avere potuto presentare i soci, le collaborazioni in atto, spiegare il da farsi in mille circostanze e simili. La maggioranza del Direttivo, invece di appoggiarsi a me, mi era immediatamente divenuta ostile, vedendo nella segreteria che io stessa avevo nominato l’unica possibilità di lavoro qualificato per il futuro.

Ben presto, con la lungimiranza di chi vuole bene alle proprie creature, vidi da lontano che l’Associazione non sarebbe andata avanti a lungo senza chiari obiettivi e nuovi finanziamenti; ma il mio stesso lavoro in un progetto regionale, ideato un paio d’anni prima, e divenuto finanziabile poi, diede alla “Gabbianella” un po’ di ossigeno e le procurò dei piccoli finanziamenti. Un po’ alla volta la nuova Segretaria e la nuova Presidente avviarono dei progetti con vecchi amici, come la Chiesa Valdese o il Comune di Venezia.

Purtroppo mi negarono la possibilità di aderire ad un importante progetto triennale, per il quale avevo ricevuto perfino la segnalazione dal CSV, nell’ambito dell’esecuzione penale e delle famiglie dei detenuti. Lo avrei svolto in prima persona, se era troppo difficile per chi era nuovo a queste tematiche, ma non vollero. Io sapevo che aderire a quel progetto sarebbe stato necessario non solo ai beneficiari dello stesso ma anche all’Associazione, che avrebbe potuto garantirsi il pagamento delle spese di gestione per tre anni. Ma non ci fu verso di convincere chi ormai tendeva a rimpicciolire l’impegno della “Gabbianella” non ad ampliarlo.

La Segretaria, che ormai aveva ritirato le dimissioni, mi invitò a “consolarmi” con un nuovo progetto che la Regione Veneto ci offriva di fare in ambito penale esterno con i minorenni affidati all’USSM (Ufficio del Servizio sociale per minorenni). Si trattava di un progetto nato dalla congiunzione di due elementi costitutivi della mia vita: l’amore per la montagna e quello per la gioventù. Tutto questo non avrebbe dato un euro alla Gabbianella e quindi non sostituiva affatto il precedente progetto, che invece ci avrebbe messo a disposizione molti fondi per tre anni, ma lo attuai ugualmente, perché mi era particolarmente congeniale.

Cominciai così una nuova e coinvolgente impresa, che poi si sarebbe ripetuta, con un altro finanziamento regionale per altri due anni. Per dare soddisfazione ai ragazzi che avevano arrampicato e soprattutto per avere un motivo per farli riflettere sull’esperienza compiuta, promisi loro che avremmo fatto una mostra fotografica e un calendario, con le loro belle fotografie riprese di schiena da Federico Sutera, un bravo professionista che era venuto in montagna con noi appositamente. Contavo su di un finanziamento della Fondazione Venezia, che aveva promulgato un bando che sembrava perfetto per noi. Invece un mio stupidissimo errore formale, che si concretizzava in un conto sbagliato di 60€, di cui nessuno si accorse, ci fece escludere di nuovo dal finanziamento. Per rispettare ugualmente la promessa fatta ai ragazzi, chiesi aiuto al CAI nazionale, che fu davvero generoso, alla Giovane Montagna, al Cogess Don Milani, a un cartello di associazioni, AERES, guidato dall’amico Massimo Renno ed Emergency ci offrì subito la sala per la mostra e ogni forma di collaborazione necessaria a pubblicizzarla. Due ragazzi del gruppo, che ovviamente non dovevano essere riconosciuti, vennero alla inaugurazione ed erano talmente orgogliosi di sé che si fecero riconoscere da un giornalista e uno di loro, che aveva portato la fidanzatina con sé, perfino parlò al microfono per ringraziare chi gli aveva fatto fare quell’esperienza. Per un po’ temetti grossi guai, per essermi lasciata sfuggire di mano la tutela della privacy di due minorenni, ma per fortuna non successe nulla.

Alla fine della storia della Gabbianella, parlare di “Arrampicare”, divenuto nei successivi due anni “Mettersi alla prova in roccia”, mi permette di fare una sintesi conclusiva dei soggetti di cui l’Associazione si è occupata.

I bambini che hanno bisogno di adozione, con famiglie in seria difficoltà, se non trovano buone famiglie sostitutive, diventano spesso persone che vivono ai margini della società, cadono vittime della malavita che gestisce le droghe, rubano e rapinano per procurarsi le sostanze stupefacenti. I ragazzi che ho portato ad arrampicare in questi tre anni, con la guida alpina, sono stati spesso – non sempre – figli di ex-detenuti o di genitori assenti, cresciuti dai nonni nella migliore delle ipotesi, o in comunità, senza una delle due figure genitoriali o senza entrambe, smarriti, privati anche della scuola, perché anche lì nessuno li seguiva, vi si trovavano male, ne erano emarginati ed espulsi. Erano e sono i “cattivi ragazzi” da rinchiudere in prigione, secondo qualche politico, in realtà sono giovani sensibilissimi alle cure che ricevono, perché ne hanno ricevute poche. Sono ragazzi fragili, usciti raramente dalle strade delle nostre periferie, che restano ammaliati dalla bellezza della natura, che mai hanno potuto vedere prima. Ragazzi che, quando allarghi i loro orizzonti, ti accolgono nel cuore e non ti dimenticano più.

Il progetto aveva potuto realizzarsi grazie all’approvazione dell’Ufficio del Servizio Sociale per Minorenni (USSM) che ci aveva accolto subito, nonostante io avessi spiegato alle assistenti sociali i nostri trascorsi in carcere. La Gabbianella, con Federica G. e Teresa M., in realtà aveva già lavorato con quel Servizio Sociale, cercando di assistere, con delicatezza e con difficoltà, la figlia di una coppia giovanissima, in cui il padre aveva compiuto un reato. Un po’ alla volta la collaborazione divenne più stretta, con i nostri incontri ospitati presso una delle aule del Tribunale per i Minorenni. Anche qui venne portata la mostra fotografica.

Naturalmente, nei tre anni di lavoro in comune, non tutto fu rose e fiori: ci furono incontri in cui non si presentarono tre ragazzi su quattro, dopo che noi adulti avevamo messo in moto la complessa macchina delle uscite; ci furono i continui spostamenti di date a causa del maltempo e con i ragazzi pieni di altri impegni, per cui ogni volta trovare date possibili per tutti era molto difficile; ci furono perfino problemi con le guide, che nel secondo anno si alternarono sempre. Eppure tutte queste difficoltà non crearono amarezza in nessuno. Piuttosto mi lasciò stupita l’atteggiamento di chi, pur dicendo di divertirsi ad arrampicare, non riusciva ad alzarsi al mattino di domenica, con genitori attenti e presenti che lo avrebbero accompagnato agli incontri. Era un atteggiamento in linea con la logica per cui questi ragazzini (italiani) cercavano soldi facili, senza fare fatica.

E se i genitori smettessero di evitare ai figli ogni fatica, disagio, frustrazione? Se smettessero di fare i compiti di scuola con loro, senza disinteressarsi per questo del loro rendimento scolastico, ad esempio? “La roccia è dura, respinge, non è accogliente: per salire devi contare sulle tue forze ed imparare delle tecniche” hanno scritto sotto ad una foto i ragazzi del progetto “Arrampicare”. Come dire che la vita è dura e non fa sconti a nessuno, che per avanzare devi fare fatica con il corpo e con la mente.

Nella sua vita “La gabbianella” ha davvero fatto tanta fatica, ma ha ottenuto anche tanti risultati.

Al suo nascere voleva che potessero adottare anche le persone sole e le adozioni nei casi particolari, in cui i single rientrano, sono mediamente 600 all’anno su di un totale di 1.400, se si sommano le adozioni ordinarie a quelle “nei casi particolari”. Resterà nella storia delle adozioni la vicenda di Luca Trapanese, gay dichiarato, che ha adottato da solo una bimba piccolissima con trisomia 21 ed ha aperto una nuova porta nella disponibilità dei singles ad adottare.

Inoltre nelle adozioni internazionali ormai è accettato che anche le persone sole possano adottare (peccato che il vero problema nelle adozioni internazionali sia quello per cui il diffondersi delle guerre e del nazionalismo ostacola l’offerta di bambini orfani ad altri paesi!).

Ma più che i requisiti perché gli adulti possano adottare, battaglia originaria per cui era stato scritto “Il gabbianello Marco”, all’Associazione son sempre interessati i requisiti dei bambini per poter essere adottati. “La gabbianella” ha sempre affermato a gran voce che il bambino è una persona dotata di emozioni e sentimenti propri e non un oggetto da spostarsi a piacimento dei tribunali e dei servizi sociali. Per questo ha diritto al rispetto dei suoi affetti e della sua volontà.

La legge che regolamenta l’adozione è sempre la stessa dal 1983 (L.184) ma alcune sentenze della Corte Costituzionale, ormai imprescindibili, esprimono chiaramente concetti rivoluzionari e da noi pienamente condivisi rispetto all’assetto originario della legge.

Per essere adottati un tempo bisognava essere orfani o abbandonati da un’intera famiglia. Bastava che una zia andasse in un istituto a trovare il nipote una volta ogni sei mesi, perché questo bambino non potesse venire dichiarato adottabile, in quanto legato alla famiglia d’origine. Oggi questo non è più un impedimento all’adozione: chi non ha genitori in grado di tenerlo con sé può essere adottato in un’altra famiglia e mantenere i rapporti con una zia o un vecchio nonno, perché questo è nel suo preminente interesse (sentenza n. 183/23). Era ora! Il diritto a mantenere i legami affettivi, sancito dalla legge 173/2015, che ha rivoluzionato l’affidamento, fa capolino anche nell’adozione ed è giusto. Perché mai gli adulti possono mantenere tutti i legami affettivi che vogliono e i bambini non possono?

Sulla carta “La gabbianella” ha ottenuto che tutti i principi per cui aveva lottato fossero riconosciuti. Purtroppo, nella realtà delle cose non è così: alcuni tribunali applicano i principi e le leggi a cui ho fatto cenno, altri non ne vogliono sapere. D’altra parte, le sentenze della Corte Costituzionale non sono leggi vere e proprie e perfino la legge 173/2015 è imperfetta, non riconoscendo agli affidatari di essere parte processuale nei processi per l’adozione.

Bisogna ancora lavorare sia per i bambini italiani che per quelli stranieri. E ancora, come in passato, perché i minorenni siano posti in famiglia invece che in case-famiglia o comunità se hanno famiglie d’origine inadeguate. Le battaglie di civiltà non sono mai finite.

Parafrasando una frase di Alberto Rollo, scrittore, editore e critico letterario, gli esseri umani sono “animali osmotici”, che si passano l’un l’altro bene e sapienza. Perché la trasmissione osmotica avvenga, bisogna che gli adulti stiano vicini ai piccoli, le persone mature vicino a quelle più giovani. Bisogna che qualcuno faccia barriera ai fantasmi che sorgono dal profondo a chi è stato mal amato da piccolo. Ne trarrà vantaggio l’intera società.

Contributo di uno dei ragazzi coinvolti nel progetto ‘Arrampicare’: Nadir

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