La storia di Beatrice: dal vuoto giuridico alla L. 173/15 attraverso la sentenza CEDU
Il fanciullo ai fini dello sviluppo armonioso e completo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un clima di felicità, di amore e di comprensione.
Questo è il preambolo della convenzione ONU sui diritti dell’infanzia del 20 novembre 1989.
Felicità, amore, comprensione. Parole con un peso specifico di tutto riguardo, inserite non in un racconto, ma in una Convenzione che l’Italia ha ratificato con legge 27 maggio 1991, n 176.
Da tempo pensavo di mettere ordine in quel grande confuso fascicolo che occupava un intero sportello della mia libreria e che tanto mi aveva gratificato sul piano professionale, quanto invece sconfitto sul piano umano.
L’avevo già fatto in occasione di un convegno… ma il tempo talvolta cancella le date e il preciso succedersi degli eventi.
Ho cercato nuovamente di ricostruire tutta la vicenda, cercando di isolare gli atti di causa tra mille appunti, lettere, petizioni, riflessioni personali e richieste di aiuto di conforto e di confronto.
Il tempo in effetti confonde le date … ma le sensazioni rimangono intatte: rabbia, speranza, delusioni e anche successi.
Le vere vittime rimangono i bambini.
Da pochi giorni ero stata contattata da Carla Forcolin, presidente dell’associazione “La gabbianella e altri animali”, e da Brunella Benedetti, che mi aveva raccontato la storia di questa famiglia e della bimba che vi era stata accolta in affidamento. Brunella Benedetti e il marito, Luigi Moretti, desideravano tenere la piccola con sé, adottarla e comunque non perderla… quando il 17 dicembre 2005, un sabato, come una bomba, mentre mi trovavo in Toscana per un incontro prenatalizio, arrivò la notizia del suo allontanamento e delle modalità violente con cui lo stesso era avvenuto.
Dopo promesse di un passaggio di famiglia certamente veloce, ma comunque in qualche modo accompagnato e dolce, la bimba fu prelevata e allontanata da una macchina della polizia, proprio alla vigila di Natale, quasi all’improvviso.
Rimasi molto colpita da quanto era avvenuto e da come era avvenuto, e cercai tuttavia di riportare il tutto sul piano del diritto.
Il 22 dicembre 2005 deposito un’istanza in cui chiedo che venga esaminata la domanda di adozione ex art. 44 lett. d L. 184/83, fatta da me a nome dei miei assistiti Benedetti-Moretti e comunque chiedo che vengano ripresi i contatti tra la minore e i suoi affidatari, nel superiore interesse della bambina.
Proprio nello stesso giorno, 22 dicembre 2005, il TM di Venezia dispone l’affidamento preadottivo della bambina alla nuova coppia, a distanza di pochi giorni da quando era avvenuto il loro primo incontro. Infatti il T.M. ha accelerato il passaggio della bimba da una famiglia all’altra, perché c’era stato un momento di tensione tra le famiglie che si erano incontrate per puro caso (diverbio tra la mamma di Brunella Benedetti e i Servizi Sociali).
Il giorno prima, il 21 dicembre, il TM aveva respinto la domanda di adozione nazionale ordinaria proposta dai coniugi Moretti-Benedetti e, con decreto, il 3 gennaio 2006, respingerà anche la domanda di adozione ex art 44. La coppia, infatti, aveva presentato entrambe le domande.
Un’osservazione è importante: mentre la disponibilità all’adozione nazionale è una disponibilità che può essere rinnovata, ma il cui rifiuto non può essere impugnato, l’iter dell’adozione in casi particolari prevede invece vari gradi di giudizio. Il provvedimento del TM era mal fatto dal punto di vista processuale, emesso con decreto invece che con sentenza, emesso senza valutare le eventuali istanze di adozione ai sensi dell’art. 44, senza che gli affidatari fossero sentiti, privo di una motivazione in merito all’interesse della minore.
Questa è stata “l’articolata motivazione” del TM circa le proprie scelte: “… é stata trovata un’altra coppia adottiva”
E infatti la Corte d’Appello di Venezia, sezione minorenni, accoglie il reclamo, dichiara la nullità del provvedimento del TM e dispone una consulenza tecnica nel merito (CTU).
La CTU è molto complessa e faticosa anche per chi la conduce. Si conclude con la decisione di non riavviare i rapporti con la famiglia affidataria Moretti-Benedetti, per non causare “altro dolore” alla minore. Si ritiene che cambiare nuovamente famiglia costituisca un rischio per l’equilibrio della bimba, ma si riconosce l’immenso dolore che il Tribunale le ha procurato.
Questi i fatti, molto interessanti se letti nell’incrocio stretto delle date: in una giustizia così lenta, nel giro di pochi giorni è successo di tutto.
Va sottolineato come la prima, sia pure provvisoria vittoria in sede di appello, sia basata esclusivamente su questioni processuali (decreto invece che sentenza), che peraltro nascondono un presupposto sostanziale. Manca l’aver esaminato davvero la domanda giacente di adozione in casi particolari pensando all’interesse della bambina. Manca soprattutto qualsiasi riflessione centrata sull’interesse del minore.
È come se quest’ultima dovesse piegarsi alla legge e non la legge riconoscerne la centralità. Sono sempre più convinta che tutto l’ambito della procedura civile minorile esigerebbe da una parte un diritto processuale stringente e con scadenze e decadenze cogenti e dall’altra un diritto sostanziale flessibilissimo, che consenta ad ogni bambina, ad ogni bambino, di ottenere una decisione cucita su misura per la sua storia personale.
La lacerante CTU evidenzia una realtà incontestabile: la tutela della continuità affettiva è materia delicata, perché una volta interrotta diventa di difficile rammendo, se non impossibile.
Decidiamo di ricorrere alla CEDU (Corte Europea Diritti Umani), per violazione dell’articolo 8 della Convenzione di New York: “Gli Stati parti si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a preservare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni familiari, così come riconosciute dalla legge, senza ingerenze illegali”.
Interessante la posizione della Corte che accoglie il reclamo precisando che le relazioni familiari da tutelare presuppongono una vita famigliare esistente.
Tuttavia questa non si limita ai rapporti fondati sul matrimonio e sulla filiazione legittima ma può comprendere altre relazioni familiari de facto, purché – oltre all’affetto generico – sussistano altri indici di stabilità, attuale o potenziale, quale potrebbe essere quello di filiazione naturale o di un affidamento pre-adottivo. Da questo punto di vista, la determinazione del carattere familiare delle relazioni di fatto deve tener conto di un certo numero di elementi, quali il tempo vissuto insieme, la qualità delle relazioni, così come il ruolo assunto dall’adulto nei confronti del bambino. Qui la Corte ha osservato che i ricorrenti avevano vissuto con la minore le prime tappe importanti della vita di lei per un tempo più che apprezzabile (diciannove mesi), l’avevano inserita nella scolarità infantile e l’avevano portata con sé in un viaggio. Considerando il forte legame instauratosi tra i ricorrenti e la bambina, la Corte ha stabilito, nonostante l’assenza di un rapporto giuridico di parentela, che quel forte rapporto potesse rientrare nella nozione di vita familiare ai sensi dell’articolo 8 CEDU.
Era il 27 aprile 2010.
Questa sentenza ha decisamente favorito tutto il movimento che con passione e coraggio già da tempo perseguiva l’obiettivo della difesa dei legami affettivi dei bambini. In particolare, i libri scritti con storie di aderenti all’associazione “La gabbianella e altri animali” (dal “Gabbianello Marco”, ed. D. Piazza, a “I figli che aspettano” ed. Feltrinelli, a “Io non posso proteggerti” ed. F. Angeli) e le reiterate petizioni di questa Associazione hanno portato a diffondere tali problematiche e contribuito all’approvazione della L.173/15 che tutela il diritto delle bambine e dei bambini alla continuità affettiva.
Tuttavia Beatrice non incontrerà più la famiglia che le ha insegnato a parlare, camminare, giocare.
Lucrezia Mollica, avvocato


